The isolator: ovvero come fermare il continuo turbinio della propria mente.

Hugo Gernsback: The Isolator, da Science and Invention, Luglio 1925 - fair use
Hugo Gernsback: The Isolator, da Science and Invention, Luglio 1925 – fair use

Concentrarsi è tra le occupazioni più difficili per un essere umano. Un rumore proveniente dall’esterno, il caldo, il pensiero di dover preparare la cena, qualsiasi cosa può deviare facilmente la nostra attenzione. Non basta spegnere lo smartphone, la TV o scollegarsi da internet. Il nostro cervello funziona così da millenni. Per sopravvivere, dobbiamo elaborare costantemente un flusso enorme di informazioni provenienti dall’ambiente circostante, e rispondere a innumerevoli stimoli sonori, tattili, spaziali.

Perfino dei campioni di concentrazione, come i monaci medievali, si distraevano continuamente a guardare fuori dalla finestra, a controllare l’ora, a pensare a questioni terrene nei momenti di preghiera e contemplazione. Alcuni affermavano di essere distratti addirittura nei loro sogni.

La vita moderna ha amplificato le fonti di distrazione e la nostra tendenza a saltare da un pensiero all’altro, talvolta in modo compulsivo, come faceva notare Bertrand Russel già nel 1930:

In primo luogo durante le ore di lavoro e ancor più nel lasso di tempo che intercorre tra il lavoro e la casa, il lavoratore urbano è esposto al rumore; è vero ch’egli si abitua a non accorgersene, cionondimeno il rumore lo estenua, in quanto che soprattutto il suo subcosciente deve fare uno sforzo per non udirlo. Un’altra cosa che ci affatica senza che ce ne rendiamo conto è la presenza costante di estranei. L’istinto naturale dell’uomo, come pure degli altri animali, è di scrutare tutti gli ignoti della sua specie, nell’intento di decidere se comportarsi con loro in modo cordiale od ostile. Coloro che viaggiano sui tram nelle ore di calca devono inibirsi questo istinto, e il risultato di tale inibizione è che essi provano una generica irritazione contro tutti gli estranei con i quali vengono involontariamente messi a contatto. […] Di conseguenza, quando è giunta l’ora dell’ufficio ed ha inizio il lavoro giornaliero, il nerovestito lavoratore ha già i nervi tesi e uno stato d’animo propenso a considerare la razza umana un insopportabile fastidio.
(Bertrand Russel, La conquista della felicità. )

Si, perché la distrazione incombe soprattutto quando ci mettiamo al lavoro. Infatti, già cinque anni prima che Russel pubblicasse le sue osservazioni, l’inventore Hugo Gernsback aveva sperimentato lo stesso problema e pensato a una soluzione.

Hugo Gernsback - fair use
Hugo Gernsback – fair use

Un’epopea fantascientifica

Gernsback incarnava perfettamente il sogno americano. Lussemburghese di nascita, si trasferì da giovane negli Stati Uniti, dove avviò un’attività di importazione di componenti radio-elettrici. In seguito si dedicò all’editoria, arrivando a costruire un piccolo impero della comunicazione. Nell’arco di trent’anni, fondò e diresse circa sessanta riviste su qualsiasi argomento: lifestyle, salute, alimentazione, sessuologia, psicologia, aeronautica, medicina, e naturalmente radio ed elettronica.

Soprattutto, Hugo Gernsback divenne noto per aver dato vita ad Amazing Stories, la prima rivista della storia interamente dedicata a racconti di finzione che avevano per tema l’impatto reale o immaginario della scienza sulla vita delle persone e sulla società. Gernsback si riferiva a questo genere letterario con un neologismo, probabilmente inventato proprio da lui: science-fiction. Per questo motivo, i premi annuali assegnati dalla Worldcon, la più longeva fiera della fantascienza che si tiene ininterrottamente dal 1939 negli Stati Uniti, sono soprannominati “gli Hugos”.

Il fondamento dell’impero economico di Gernsback era la promozione incrociata. Un servizio sul fascino maschile, pubblicato su uno dei suoi rotocalchi per signore, rimandava a un personaggio apparso in una sua rivista di storie di detective, la quale faceva sua volta riferimento a un articolo sulle microspie, uscito su un suo periodico di elettronica nel quale si suggeriva l’acquisto di componenti da una delle società d’importazione capitanate dallo stesso editore.

Va da sé che la mente di Gernsback era un’inarrestabile fucina di idee e pensieri sempre nuovi, tanto che l’ingegnoso imprenditore era anche un inventore molto prolifico. Risultano registrati a suo nome oltre novanta brevetti. Tra questi, però, non figura quello della più stravagante e forse più interessante delle sue creazioni, della quale lo stesso Gernsback scrisse sul numero 3 di Science and Invention, una rivista – non c’è nemmeno bisogno di dirlo – di sua proprietà.

The Isolator

“Concentrarsi è tra le occupazioni più difficili per un essere umano “. L’articolo si apriva così. Quindi? Cosa fare? Isolarsi completamente dagli stimoli esterni, grazie a The Isolator: un casco in legno rivestito di sughero e ricoperto di feltro. Certo, non molto comodo ma sicuramente efficace. O forse no?

Per stessa ammissione del suo creatore, la prima versione del dispositivo era così pesante da causare dolore al collo di chi lo indossava. Caldo, filtrava soltanto il 75% delle distrazioni esterne e, dopo quindici minuti di utilizzo, provocava sonnolenza e visione offuscata per mancanza di ossigeno: una lieve ipossia, insomma.

La versione finale dell’Isolator funzionava un po’ meglio. Gernsback impiegò un tipo di legno più leggero, migliorò l’isolamento acustico e al posto delle aperture per gli occhi, presenti sul primo prototipo, collocò due minuscole fessure che permettevano di vedere soltanto un foglio davanti a sé. Per evitare di morire soffocati, il casco era collegato a una bombola d’ossigeno. In pratica non ci si poteva muovere dalla scrivania.

Più che favorire la concentrazione, probabilmente l’Isolator aumentava lo stress. Non sorprende, quindi, se il congegno non fu mai messo in vendita. Tuttavia, è probabile che Hugo Gernsback avesse ideato The Isolator più per sé stesso che per dei potenziali acquirenti. Secondo il divulgatore scientifico Steve Sibelrman, l’imprenditore americano soffriva verosimilmente di un disturbo dello spettro autistico mai diagnosticato. Nonostante dirigesse un piccolo impero dei media, utilizzasse tecniche di vendita definite aggressive, e fosse in contatto coi maggiori scrittori, intellettuali e scienziati della sua epoca – tra cui Nikola Tesla – Gernsback tendeva a evitare i contatti sociali e comunicava principalmente per lettera.

L’Helmfon

Malgrado la sua scarsa efficacia, il progetto di Gersnback ha ispirato l’Helmfon. Si tratta, anche in questo caso di un casco, ideato dallo studio di design Ochu-Rayu. Il dispositivo, ancora in fase di sperimentazione, sembra risolvere i principali problemi dell’_Isolator_ ed è un concentrato di tecnologia avanguardistica. Aperto ma isolato acusticamente, voluminoso ma leggerissimo, l’Helmfon promette di essere una vera e propria “postazione di lavoro indossabile”, con schermo integrato, connessione a internet, auricolari, app per navigare in rete, comunicare e fare ricerche. Il dispositivo, però, è così ben congegnato che dall’esterno è impossibile dire se chi lo indossa sia effettivamente concentrato sul lavoro o se stia guardando un episodio dell’ultima serie di tendenza su Netflix.

Monaco medievale al lavoro - illustrazione di William Blades - public domain
Monaco medievale al lavoro – illustrazione di William Blades – public domain

Ritorno al passato

Per trovare una soluzione alle distrazioni che quotidianamente ci affliggono, probabilmente dobbiamo lasciar da parte la tecnologia e tornare ai frati del Medioevo. Alcune delle regole monastiche elaborate in quell’epoca prevedevano una serie di metodi finalizzati proprio a placare il continuo lavorio della mente. San Benedetto, ad esempio, promuoveva il lavoro fisico e una scansione della giornata ben definita, che lasciava poco spazio all’iniziativa personale, quindi alle distrazioni. Anche precetti come l’isolamento, la rinuncia o i regimi alimentari moderati avevano lo stesso scopo.

Tra i metodi più interessanti sviluppati dai monaci medievali, un posto di rilievo lo occupano le tecniche di visualizzazione. Ai frati e alle suore veniva insegnato a trasformare i pensieri che li distraevano in immagini mentali. Molto spesso, queste prendevano la forma di figure mostruose o grottesche, simili a quelle che troviamo a margine di alcuni manoscritti miniati. Il punto, però, non era dipingere o raffigurare materialmente i propri pensieri ma quello di visualizzarli, di guidare la mente e costringerla a soffermarsi su qualcosa di specifico, limitandone le divagazioni. Ancora oggi, gli esercizi di visualizzazione sono tra le tecniche di concentrazione e meditazione più diffuse sia in Occidente, sia nel lontano Oriente. Questo perché la distrazione comincia prima di tutto dentro di noi, dal desiderio di sfuggire a sensazioni sgradevoli, all’ansia, alla stanchezza, e l’unico modo per evitarla è condurre la nostra mente verso uno stato di calma e serenità.


Per approfondire: