Una serata all'Opera dei pupi

Foto: Pierpaolo Ferlaino

Il portoncino verde in via Bara all’Olivella è ancora chiuso. Potrebbe sembrare la bottega di un artigiano, come tante in questa strada, se non fosse per le scene cavalleresche dipinte sulle ante e l’insegna che recita “Opera dei Pupi, teatro fondato nel 1973 da Mimmo Cuticchio”.

Una ragazza bionda, con gli occhi azzurri, lontana dall’idea che normalmente abbiamo delle donne siciliane, apre la porta e chiede: «Avete prenotato?». Per questo viaggio a Palermo avevo in programma soltanto passeggiate, mercati e pani câ meusa quindi no, non ho prenotato. E la prossima recita sarà soltanto tra una settimana.

L’Opera dei Pupi: patrimonio Unesco

L’Opera dei Pupi è uno spettacolo di marionette ispirato ai temi e ai protagonisti dei cicli cavallereschi come La chanson de Roland o l’Orlando Furioso. È una tradizione così importante che dal 2008 fa parte dei patrimoni orali e immateriali dell’umanità dell’UNESCO.

Chi visita la Sicilia raramente va ad assistere a una rappresentazione ma i pupi sono tra i souvenir più venduti sull’isola. Quelli che si usano in scena, però, sono più grandi e hanno caratteristiche precise che dipendono dalla tradizione: palermitana o catanese. I pupi catanesi possono raggiungere un’altezza di circa un metro e mezzo e pesare fino a 30 kg, quasi quanto un ragazzino.

Oggi sono rimasti in pochi a mettere in scena spettacoli secondo i canoni tradizionali e stasera mi trovo davanti al teatro di una delle famiglie più rappresentative dello stile palermitano: quella di Mimmo Cuticchio.

Imparare a memoria i versi dei poemi

Nell’attesa di capire se riuscirò a entrare, la ragazza bionda mi dà qualche informazione: «I nostri nonni venivano a vedere i pupi ogni giorno. Imparavano a memoria le battute, i versi dei poemi, si sognavano cavalieri». Ma non tutti vedevano di buon occhio questa passione e qualcuno accusava i pupi di fomentare lo spirito aggressivo dei ragazzi, e di fornire pericolosi esempi di comportamento mafioso.

A partire dagli anni ’50, però, ci pensarono la televisione e altre forme di divertimento ad allontanare i giovani dai teatri. «Ora facciamo recite soltanto nei weekend», continua la ragazza, «e gli episodi che compongono una storia si esauriscono in poche settimane. In passato potevano andare avanti per un anno intero».

Ad aspettare con me ci sono coreani, inglesi, francesi, americani. Sembra che gli stranieri apprezzino molto l’Opera dei Pupi, nonostante sia recitata in siciliano, una lingua difficile da capire anche per un italiano. «Rimanete in fila», ci dice la ragazza. «Lo spazio è piccolo ma c’è posto per tutti» e, infatti, non passa molto tempo che sono dentro.

opera dei pupi palermo
Foto: Pierpaolo Ferlaino

Un teatrino carico di magia

Le pareti della sala sono decorate con tele che raffigurano episodi cavallereschi. Di fronte a una fila di panche in legno, si apre un palcoscenico proporzionato alle dimensioni degli “attori”.

Si spengono le luci e parte la musica allegra e un po’ scalcinata di un pianoforte automatico. Il sipario scopre una scenografia in miniatura con quinte e fondali dipinti che si arrotolano per permettere di cambiare velocemente l’ambientazione.

È come assistere a una fiaba che prende corpo. Tra scene d’amore, avventura, duelli, ci si dimentica di essere di fronte a delle marionette. Il fragore della battaglia è accompagnato da un battere cupo, come il rombo di un terremoto.

«I pupi non sono nati come spettacolo per bambini ma erano rivolti principalmente a un pubblico di maschi adulti», aveva detto la ragazza all’ingresso. Ora è chiaro cosa intendesse dire. In una delle scene finali, Rinaldo combatte contro i saraceni che si lanciano a decine contro di lui. L’eroe li apre a metà con la spada, gli fa saltare la testa, gli taglia le braccia. I pezzi si ammassano in un enorme cumulo di cadaveri.

La gestualità è strabiliante. Le marionette palermitane, più piccole e manovrabili, possono fare cose che a quelle catanesi non è permesso: inginocchiarsi, sguainare la spada, chiudere la visiera dell’elmo, andare a cavallo ed esibirsi in pose che scimmiottano il teatro di prosa dell’ottocento.

Alla fine, come previsto, Rinaldo vince ma la storia resta in sospeso. Purtroppo il prossimo spettacolo sarà tra una settimana ma, prima di uscire, il teatro dei pupi mi regala un ultimo istante di magia. In scena appaiono gambe enormi, poi le braccia e infine le teste, come se il palco fosse stato invaso da giganti. Sono i pupari, venuti a prendere gli applausi assieme ai loro “attori”. Mentre smontano i fondali, rispondono alle domande di adulti e bambini, e ringraziano il pubblico.

Fuori dal teatro, ora è il mondo ordinario a sembrare irreale. Due passanti inglesi alzano lo sguardo verso l’insegna e commentano «Ah, Opera dei Pupi. It looks interesting!». Accanto a loro, una coppia di giovani siciliani la pensa diversamente. «Ma come si fa?», dice uno dei due con tono sarcastico. «Degli adulti che ancora vanno a vedere i pupi!». Sorrido e un po’ mi dispiace per loro che non sanno quale mondo prezioso si nasconde dietro quel portoncino verde in via Bara all’Olivella.

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